Il filo nero della borghesia, l’articolo 270 del codice penale

Pubblichiamo di seguito un articolo di approfondimento che offre interessanti spunti di riflessione sulla storia dell’articolo 270 codice penale dalla sua introduzione durante il periodo fascista fino alle recenti modifiche contenute nel decreto Alfano. L’articolo è tratto dal numero 0 della rivista “Antitesi, analisi e strumenti per la rivoluzione proletaria“.

Dall’associazione sovversiva (270 c.p.) del codice Rocco all’ultimo decreto Alfano, la storia dei reati associativi segna lo sviluppo della repressione politica in Italia.

La questione dell’articolo 270 del codice penale, e in generale dei reati associativi, è stata, da sempre, al centro della repressione contro i militanti del movimento di classe e rivoluzionario nel nostro paese.
In ambito nazionale e internazionale, la “lotta al terrorismo” è diventata ormai il cavallo di battaglia dell’imperialismo per frenare la lotta di classe, la lotta antimperialista e il loro sviluppo, soprattutto in senso rivoluzionario. Una politica che è diretta conseguenza della crisi generale del sistema capitalista la quale costringe tutto il mondo a schierarsi o dalla parte delle classi sfruttate e dei popoli oppressi o dalla parte degli oppressori.
Nel nostro paese, la Borghesia Imperialista detiene, attraverso lo stato, il potere ed esercita la violenza di classe per mantenere inalterato il proprio ruolo di classe dominante. La repressione è uno strumento nelle mani dello stato per contrastare la lotta di classe e l’articolo 270 del codice penale, con le sue varie filiazioni successive, è usato sia per colpire, reprimere, dividere e isolare i rivoluzionari e le avanguardie di classe, sia per controllare e inibire intere aree politiche impedendone lo sviluppo. In questo senso assume e manifesta pienamente il carattere di repressione preventiva.
Ripercorrere la storia di quest’articolo del codice penale significa ripercorrere lo sviluppo della repressione politica nel nostro paese. Uno sviluppo che, partendo dalla legislazione del ventennio fascista, approntata per frenare preventivamente l’avanzamento del proletariato sulla spinta della Rivoluzione d’Ottobre, e passando per la “legislazione d’emergenza” a cavallo tra gli anni ‘70 e ‘80, contro il movimento di classe e le organizzazioni comuniste combattenti, è giunto fino ai nostri giorni. Con l’inizio del nuovo millennio e con il mutare della situazione internazionale caratterizzata, dentro una fase di aggravamento della crisi economica, dall’aggressività imperialista e dalla cosiddetta “guerra al terrorismo” scatenata in primis dagli Usa, le modifiche al reato di associazione sovversiva si sono susseguite fino a giungere all’ultimo decreto Alfano. Esse sono figlie della necessità della borghesia d’attrezzarsi per affrontare le contraddizioni che si trova davanti in questo scenario, utilizzando gli stessi strumenti repressivi introdotti dal fascismo e rimodellandoli per renderli aderenti alla situazione attuale.

La legislazione durante il ventennio fascista e l’introduzione dell’articolo 270 del codice penale.
Buona parte della legislazione penale italiana risale quasi per intero al periodo fascista, quando il guardasigilli Alfredo Rocco stende il codice che porta il suo nome e che sintetizza la produzione normativa degli anni ‘30 in materia penale, comprendendo, all’epoca, anche il codice di procedura penale e la riforma dell’ordinamento penitenziario. L’articolo 270 c.p. entra in vigore il 1 luglio 1931 con la seguente formulazione: “Chiunque nel territorio dello Stato promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni dirette a stabilire violentemente la dittatura di una classe sociale sulle altre, ovvero a sopprimere violentemente una classe sociale o, comunque, a sovvertire violentemente gli ordinamenti economico-sociali costituiti nello Stato, è punito con la reclusione da 5 a 12 anni. Alla stessa pena soggiace chiunque nel territorio dello Stato promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni aventi per fine la soppressione violenta di ogni ordinamento politico e giuridico della società. Chiunque partecipi a tali associazioni è punito con la reclusione da 1 a 3 anni”.
Quest’articolo mirava a contrastare al movimento proletario nelle sue diverse componenti, comuniste, socialiste, anarchiche ecc., la possibilità di organizzarsi per lottare contro lo stato e il sistema borghese. La nascita di quest’articolo è stata preceduta dall’introduzione di una serie di leggi varate sempre da Mussolini-Rocco che ne hanno anticipato la sua valenza: una in particolare è significativa, la legge contro le Società Segrete. Questa legge è stata fatta passare sotto la bandiera della lotta alla massoneria, che permise a Mussolini il ricambio del ceto dirigente da liberale a fascista, ma nel concreto fu la preparazione giuridica-legale per perseguire le organizzazioni antifasciste .
L’essenza dell’art. 270 è caratterizzata dalla sua natura preventiva. La sua formulazione, infatti, manca chiaramente di un riferimento alla possibilità concreta che si determini l’azione, così com’è privo di un riferimento alla struttura stessa organizzativa dell’associazione, soffermandosi piuttosto a una scansione di ruoli individuali, come il promotore, l’organizzatore, il semplice partecipante. L’essere lecite, o meno, di queste associazioni non deriva dall’essere dotate di un apparato strumentale, militare, organizzativo in grado di sovvertire o sopprimere l’ordinamento, ma piuttosto già dal programma teorico, in quanto esso contiene il germe della violenza rivoluzionaria. Ciò che contava era “spegnerle sul nascere”, a prescindere dalla reale pericolosità del fatto in sé. Si può quindi affermare che l’articolo 270 aveva un doppio carattere preventivo, si puniva da un lato il “solo” fatto associativo, e dall’altro il “solo” fine dell’associazione (un pericolo presunto) anziché il pericolo concreto per le istituzioni. Natura preventiva che manterrà in tutte le sue modifiche successive. Esso ha rappresentato la punta di diamante dell’attacco politico all’antifascismo.
Nell’immediato dopo guerra ci furono alcune sentenze della Corte di Cassazione che ritennero l’articolo 270 c.p. abrogato con la legge del 27 febbraio del 1944 che, appunto, aveva decretato l’abrogazione di tutte le norme emanate a tutela delle istituzioni e degli organi politici creati dal fascismo. Ma così non fu, perché il regime di controrivoluzione preventiva nella sua veste “democratica” si rese presto conto che non poteva assolutamente rinunciare a uno strumento così prezioso nella lotta contro il movimento proletario e comunista.

La “legislazione dell’emergenza” degli anni ‘70 e ‘80.
La borghesia italiana, dopo gli anni della ricostruzione e del boom economico, con il riaffacciarsi di una nuova crisi economica agli inizi degli anni ‘70 del secolo scorso, fu costretta ad avviare un forte processo di ristrutturazione economico e sociale che necessitava parallelamente di un processo di pacificazione interna, chiudendo ad ogni costo con la lotta di classe e con la prospettiva rivoluzionaria che animava la società italiana fin dall’esplosione del 1968 studentesco e del 1969 operaio. In particolare, lo stato mirava ad annientare la spinta rivoluzionaria delle organizzazioni comuniste combattenti, nate nel contesto di uno straordinario ciclo di lotte operaie e proletarie, che avevano posto la questione della necessità di strappare il potere alla borghesia. L’attacco al movimento rivoluzionario fu parte di un più generale attacco sociale alla classe e alle conquiste fino ad allora ottenute con la lotta. In questo clima, l’art. 270 si rivelò insufficiente rispetto alla necessità repressiva di far fronte alle organizzazioni armate e ai movimenti di massa di quegli anni. Alla fine del 1979, con il cosiddetto decreto Cossiga, divenuto poi legge nel 1980, venne introdotto l’art. 270 bis: “Chiunque promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico è punito con la reclusione da 7 a 15 anni. Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione da 4 a 8 anni”. Si introduce la “finalità di terrorismo o eversione”, formulazione non presente nel vecchio 270, e aumentano le pene rispetto alla precedente legislatura fascista e rimane inalterata la sua natura preventiva, come spiegano le seguenti parole tratte da uno scritto dell’Avv. Giuseppe Pelazza:

Lo schema di questo reato, infatti, slegato dalla necessità di imputare la commissione di specifici fatti concreti, consente di incriminare per la semplice appartenenza ad un ambito politico (…) addirittura è prevista la punizione del semplice “proporsi” il compimento di atti di violenza. La punibilità, cioè, scivola ancor di più verso la prevenzione della pericolosità, e verso il riferimento al cosiddetto “tipo di autore”, teorizzazione propria della cultura giuridica della Germania nazista (ti punisco non per quello che hai fatto, ma per quello che sei). D’altra parte tutto quanto il cosiddetto diritto dell’emergenza (che è, in realtà, diritto penale non dell’eccezione, ma della nuova regola che si viene stabilendo) è incentrato sull’identità del soggetto “trattato” nel procedimento penale: questo è il senso della legislazione premiale – sui pentiti e sui dissociati – e della legislazione e delle prassi carcerarie basate sulla differenziazione.”

L’introduzione di quest’articolo fu affiancata dallo sviluppo normativo, insieme repressivo e premiale, che investì non solo la sfera giuridica, ma anche quella carceraria. Migliaia di compagni furono arrestati, molti di essi rinchiusi nelle carceri speciali, e si cominciò ad usare l’articolo 90 dell’ordinamento penitenziario, introdotto nel 1975 con la riforma carceraria. Fu usata sistematicamente la tortura e si arrivò agli omicidi mirati e, per disarticolare dall’interno il movimento rivoluzionario, lo stato usò l’arma del pentitismo e della dissociazione: la prima come arma militare nelle mani dei giudici (fare i nomi per procedere agli arresti), la seconda come arma politica nelle mani dello stato (rinnegare la lotta rivoluzionaria). L’obiettivo delle leggi su dissociazione e pentitismo fu di distruggere il movimento colpendolo dall’interno, nei suoi stessi legami, e impedirgli così di reggere lo scontro con la repressione indurita dal nuovo reato associativo. Il riflesso di tutto questo all’interno delle carceri fu un’escalation della logica premiale e della differenziazione e la dissociazione rivestì un ruolo chiave. Questa logica tutt’ora informa il sistema penitenziario italiano con l’uso dell’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario, figlio legittimo dell’articolo 90.
L’operazione politico-giudiziaria che espresse chiaramente la portata e la possibilità di estensione senza limiti del reato associativo fu l’inchiesta del 7 aprile 1979 condotta dal Pubblico Ministero di Padova Pietro Calogero, il quale affermando: “Un unico vertice dirige il terrorismo in Italia. Un’unica organizzazione lega le Br e i gruppi armati dell’Autonomia” mise agli arresti, in più riprese, decine e decine di compagni.
Con il 270 bis lo stato, all’epoca, si preparò anche a fronteggiare chi si ostinava a non adeguarsi alla normalizzazione che esso voleva imporre nella seconda metà degli anni ‘80 e negli anni ‘90. Nel corso di quegli anni spesso fu usato per alcune inchieste come, ad esempio, nel 1985 quella dei Sostituti Procuratori Ferrari e Dalla Costa e del Giudice Mastelloni contro il “Coordinamento dei Comitati contro la Repressione” e la rivista “Il Bollettino”, accusati di dare voce alla parte di prigionieri che aveva rifiutato la logica della dissociazione e non aveva svenduto la propria identità rivoluzionaria. Successivamente, nel 1986, nel contesto del vasto movimento contro la Nato e la guerra imperialista che si era sviluppato in Veneto, all’interno della stessa inchiesta, Mastelloni fece eseguire 16 nuovi arresti di compagni impegnati nella denuncia dell’omicidio del compagno Pedro avvenuto per mano dei sicari della Digos e del Sisde il 9 marzo 1985 in via Giulia a Trieste.
Inoltre, a partire da quegli anni, si verifica un uso dispiegato del 270 bis contro tutte le aree di movimento mettendole sotto inchiesta: il reato viene utilizzato per monitorare e controllare un numero illimitato di persone senza necessità di attribuzione di reati specifici. Lo scopo è ottenere un impatto criminalizzante e devastante con gli arresti “di massa” e la lunga carcerazione preventiva che il reato comporta. Non importa se moltissimi compagni saranno poi assolti, come successe con l’inchiesta Mastelloni: lo stato punta comunque a distruggere e isolare intere aree politiche.
Da quegli anni, sotto la spinta dell’avvitarsi veloce della crisi capitalista e della tendenza alla guerra imperialista, anche il 270 bis subisce ininterrotte trasformazioni.

La guerra al “terrorismo” internazionale: dal pacchetto Pisanu al nuovo decreto Alfano
Le modifiche all’articolo 270 bis e, in generale, l’ulteriore rimodellamento dell’ordinamento penale e giudiziario, sono influenzate dal contesto internazionale, caratterizzato dall’aggressività imperialista e dalla “guerra preventiva al terrorismo internazionale” condotta sotto la guida degli Usa. Dopo l’attacco alle torri gemelle dell’11 settembre 2001, che ha colpito nel ventre la bestia e ne ha mostrato la sua stessa vulnerabilità, sono state introdotte nuove norme, leggi e codici. All’indomani di quella data, l’America si affretta a varare un pacchetto antiterrorismo passato sotto il nome di Patrioct Act e, a cascata, la maggior parte dei paesi europei seguirà la stesa strada.
In Italia, nel dicembre 2001, “ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di rafforzare gli strumenti di prevenzione e contrasto nei confronti del terrorismo internazionale prevedendo l’introduzione di adeguate misure sanzionatorie di idonei dispositivi operativi”, viene varata la legge 438, che vede tra le altre norme, nuove modifiche all’articolo 270 bis.
Nello specifico, quest’articolo viene riformulato prevedendo come elemento costitutivo del reato “la finalità di terrorismo anche internazionale”, viene introdotta la figura del finanziatore oltre a quelle del promotore, costitutore, organizzatore, dirigente e vengono inasprite le già pesanti pene previste. Va rimarcata, ancora una volta, la totale indeterminatezza con cui è indicato il comportamento da punire, che sembra realizzato anche solo dal semplice proporsi il compimento di “atti di violenza con le finalità di terrorismo”: il piano della punibilità è traslato sulla semplice “intenzione”.
Altra novità della legge è l’introduzione dell’articolo 270 ter, che colpisce “chi fuori dai casi di concorso nel reato e di favoreggiamento, dà rifugio o fornisca vitto, ospitalità, mezzi di trasporto, strumenti di comunicazione” a chi partecipa alle associazioni punite dagli articoli 270 c.p. e 270 bis c.p. La preoccupazione è quella di voler colpire chi viene considerato “contiguo” alla sovversione e di contrastare la solidarietà.
La svolta più sostanziale, in termini repressivi, sarà costituita dalle norme del Pacchetto Pisanu. Infatti, dopo l’attentato di Madrid dell’11 marzo 2004 e quello di Londra del 7 luglio 2005, il Ministro degli Interni del Governo Berlusconi, Giuseppe Pisanu, vara un nuovo decreto. Oltre ad una serie di provvedimenti infami in termini di poteri di polizia e sull’immigrazione, il ministro amplia nuovamente la legislazione antiterrorismo. Vengono introdotti i seguenti articoli: 270 quater “arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale”; 270 quinquies “addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale” e, infine, il 270 sexies che definisce “le condotte con finalità di terrorismo”.
Queste sono tutte norme figlie della condizione di guerra permanente e della volontà di negare ogni possibilità sia di resistenza sia di solidarietà contro le aggressioni imperialiste. Ed è proprio con l’ultimo decreto antiterrorismo, varato subito dopo l’attacco alla sede del giornale francese Charlie Hebdo lo scorso gennaio, che si rende lampante ed esplicito il legame che c’è tra la guerra sul fronte interno e quella sul fronte esterno: due facce della stessa medaglia. Il parallelismo tra repressione interna ed esterna è evidente, tanto che nel decreto Alfano vengono rifinanziate, senza passare dal Parlamento, tutte le missioni militari all’estero, per un costo complessivo di circa 622 milioni di euro. Tra queste, c’è anche quella in Iraq con l’invio, già peraltro effettuato, di armi, 280 addestratori, 80 consiglieri militari, mezzi aerei, 500 forze terrestri e forze di aeronautica.
Le nuove modifiche del reato associativo sono giustificate con la minaccia dello Stato Islamico, con la volontà di perseguire i cosiddetti foreign fighters cioè coloro che si arruolano per andare a combattere all’estero. In questo senso cambia l’associazione sovversiva, in quanto vengono modificati gli articoli 270 quater e 270 quinqiues. Si cerca di punire chi organizza viaggi finalizzati al compimento delle condotte con finalità di “terrorismo”, l’addestramento e l’autoaddestramento ad attività con finalità di “terrorismo”, aumentando notevolmente le pene già previste se i fatti sono commessi con mezzi informatici.

Ma come la storia ci insegna, ancora una volta queste modifiche saranno funzionali e verranno usate contro chi lotta sul fronte interno e contro chi appoggia le resistenze dei popoli oppressi. Un esempio significativo è rappresentato dal tentativo di “allargare” l’uso del reato associativo cercando di affibbiarlo alla lotta No Tav, come avvenuto con l’incriminazione dei quattro compagni per il sabotaggio del compressore nel cantiere di Chiomonte, nel maggio 2013. L’articolo usato in questo caso è stato proprio il 270 sexies, introdotto con il pacchetto Pisanu.Con questo decreto sono passate anche un’altra serie di norme: la proroga dell’operazione “strade sicure” che viene rafforzata portando il numero dei militari presenti sulle strade da 3000 a 4800 impegnati a presidiare soprattutto luoghi di culto e lo stanziamento di circa 600 soldati per la sicurezza di Expo 2015 a Milano. Questo rende la presenza dell’esercito più vistosa nelle città, cercando, implicitamente, in questo modo di abituare la popolazione alla presenza di militari in territorio urbano.

Inoltre nascerà un’unica “Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo”, cioè di fatto una superprocura competente per i reati politici su tutto il territorio nazionale, una sorta di riedizione “democratica” del Tribunale Speciale di mussoliniana memoria.

Questo decreto ha sollevato solo timide proteste riguardanti la sua poca “democraticità” e la violazione della privacy da parte di Sel e M5S, da bravi garantisti borghesi che, colpevolmente, guardano il dito e non la luna. L’intitolazione del decreto parla da sé: “Misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale nonché proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle Organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione”. Non si tratta di una questione di diritti, ma del “diritto di guerra” sancito dalla classe dominante contro tutti i suoi oppositori: di una nuova e più avanzata, in senso reazionario, sintesi tra guerra sul fronte esterno, contro i popoli, e guerra sul fronte interno, contro i movimenti di lotta, le soggettività antagoniste e le avanguardie di classe.
Denunciare i nuovi strumenti di controllo e coercizione dello stato, organizzare e sviluppare la solidarietà di classe nei confronti di chi viene colpito da nuovi e vecchi armamentari repressivi sono armi fondamentali che abbiamo nelle nostre mani per contrastare l’avanzata della classe dominate, la quale, stretta nella morsa della crisi, è incapace di trovare altre vie, se non quella autoritaria e repressiva, per risolvere le contraddizioni reali esistenti e contenere il malcontento diffuso. È indispensabile unire la mobilitazione contro la repressione sul fronte interno a quella più generale contro le leggi e controriforme antipopolari e la guerra imperialista, perché la mano che firma questi decreti, per pacificare il conflitto in atto, è la stessa che attacca le nostre condizioni di vita e di lavoro e che conduce le aggressioni contro i popoli che non si chinano ai diktat imperialisti e lottano per la propria autodeterminazione. Poiché la solidarietà di classe è la retroguardia necessaria e indispensabile della lotta di classe.

Articolo tratto dal numero 0 della rivista “Antitesi, analisi e strumenti per la rivoluzione proletaria”. Per chi vuole delle copie o per contatti potete scrivere a antitesi@inventati.org

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