Grecia – Contro le prigioni di massima sicurezza


prisonersContro le prigioni di massima sicurezza

La dignità umana è offesa più dalla presenza della prigione che da quella dei criminali”
A. Panselinos

In questi ultimi mesi i dirigenti politici del capitalismo nazionale e internazionale hanno introdotto un disegno di legge sulla creazione di carceri di massima sicurezza. Da tempo si è cercato di attuare lo spostamento dell’opinione pubblica diffondendo metodicamente una situazione di panico generale. Con l’uso della propaganda mediatica, la scelta dei rivoluzionari verso la libertà “illegale” viene presentata come minaccia di massima importanza per la la società. La lotta interna coreografica fra i ministri coinvolti sui casi di anarchici usciti di prigione tende a diffondere paura e un sentimento di mancanza generale di sicurezza. In un moderno regime di “costante stato d’emergenza”, le prigioni di massima sicurezza vengono dichiarate la più saggia delle soluzioni. la legislazione introduce la creazione di prigioni e sezioni carcerarie, prevedendo la distinzione dei detenuti in tre categorie. Quelli imprigionati per furto, inclusi i casi di reati dei “colletti bianchi”, saranno rinchiusi in sezioni “più dolci” di tipo A). Il corpo prigioniero principale sarà “sistemato” nelle sezioni di tipo B), dove fondamentalmente non muta l’attuale misero stato di sovrappopolamento e denutrizione, di mancanza d’acqua, riscaldamento e virtualmente dell’assenza di volontà a prestare cure mediche. Contemporaneamente è in corso la creazione di una nuova distinzione di prigionieri appartenenti a “una classe speciale ed eccezionalmente pericolosi” destinati alle prigioni di tipo C).

Al centro di questo cambiamento ci sono i rivoluzionari e i prigionieri indisciplinati. Dagli anarchici o comunisti imprigionati per la loro attività politica ai detenuti indisciplinati e agli accusati per il cosiddetto crimine organizzato, tutti saranno considerati nell’ambito dei prigionieri dichiarati “detenuti pericolosi”. Quelli che in prigione partecipano a rivolte o ammutinamenti, che non ubbidiscono o resistono agli ordini del personale penitenziario, quelli che in base alle proprie convinzioni non accettano la realtà disumana e cinica della prigione e le sue condizioni, saranno, secondo il giudizio del pm o della guardia carceraria, puniti come detenuti indisciplinati.

In tal modo, si sta tentando sostanzialmente una generale ristrutturazione del sistema penale basandosi sul controllo totale, la sorveglianza costante e l’accentuata repressione, l’autoritarismo, l’isolamento e l’egoismo, al fine di “ampliare” il moderno “costante stato d’emergenza” nel settore carcerario. Nel contempo, la legislazione tende a dare un esempio a ciascuno e a ogni elemento della società che resista dentro le prigioni e fuori, indicando un “prezzo da pagare” per resistere al regime. Stando in una situazione costante di estromissione, i detenuti in prigioni e sezioni “di tipo C)”, vivranno in una “ prigione nella prigione” caratterizzata dalla deprivazione sensoriale e dall’isolamento dai propri famigliari e, cosa molto più importante, dal loro ambiente sociale, misure queste adottate infine per il loro annientamento politico, mentale e biologico. A questo scopo, il regime sta pianificando un ambiente soffocante: soppressione di ogni diritto alla concessione permessi carcerari temporanei e della possibilità di svolgere un lavoro in carcere per godere di riduzioni di pena; condizioni “irrigidite” per avere la libertà condizionale (un minimo di detenzione di 10 anni nelle prigioni di tipo C), creando condizioni per una forma di controllo “panottico” (con l’installazione di tramite videocamere ad ogni angolo della prigione). Arbitrio e autocrazia vengono istituzionalizzati applicando un regolamento interno che dà un potere illimitato ad avvocati in pensione e funzionari di polizia di alto grado e consente loro di essere nominati come guardie carcerarie e di ridurre l’ora d’aria, le visite dei famigliari ai prigionieri, il tempo delle telefonate, nonché di sottoporre arbitrariamente a censura gli articoli di stampa. Assegnando alle forze di polizia speciali, secondo regolamenti segreti sulle funzioni, il compito della sorveglianza esterna e, fino a certo punto, di quella interna, si arriva man mano all’uso meno limitato delle armi dentro e fuori del carcere, qualunque siano le conseguenze.

Allo stesso tempo, il “bastone” della punizione e del trasferimento nelle prigioni di tipo C) viene alternato alla “carota” della ricompensa ai confidenti (ampliato con la concessione della loro immediata liberazione dalla prigione) e dell’egoismo in generale. Lavorando alla diffusione di una situazione di sfiducia reciproca, vengono creati “cacciatori di teste” con lo speciale compito di “sradicare” organizzazioni politiche armate e l’obiettivo unico di prevenire la lotta comune, la comunicazione e il rapporto fra i rivoluzionari prigionieri e il resto dei detenuti.

Questa legislazione riguardante la ristrutturazione del sistema penale non è un evento isolato, né una scoperta “pionieristica” da parte dello stato greco. Da un lato copia e incorpora la corrispondente legislazione (sull’antiterrorismo, le prigioni di massima sicurezza, la condizione speciale di sorveglianza, le forze di polizia paramilitari) in vigore in altri paesi europei o basati su imprescindibili impegni verso la UE, conformemente ai mandati sia degli alleati d’oltreoceano che di quelli europei e alle loro disposizioni. Dall’altro, si fonda sulle condizioni materiali della ristrutturazione generale del capitalismo e dei suoi rapporti sociali, come ulteriore parte del modello costituente il moderno regime di “costante stato di emergenza”. Nel contesto di una profonda crisi economica, per lo stato la repressione sta rapidamente diventando una scelta fondamentale nella gestione dei problemi sociali e nel regolamento dei rapporti sociali, secondo il dogma “legge e ordine”. Repressione (e punizione) rappresentano un pilastro centrale di coesione del regime con una duplice finalità. Da un lato il regime mira a disciplinare il proletariato e gli elementi della società che resistono, gestendo gli elementi “in surplus” della popolazione (immigrati, disoccupati e precari, sieropositivi e tossicodipendenti) diffondendo un clima di paura costante. Dall’altro difende gli interessi del capitalismo e della classe dominante. In tal senso, il regime di “costante stato di emergenza” persegue vari elementi sociali come “nemico interno” (scioperanti, contestatori, movimenti sociali e politici radicali, rivoluzionari prigionieri, villaggi e comunità interi che resistono al saccheggio delle loro vite), allargando costantemente l’ambito delle persone perseguite. Non solo gli avversari armati contro il capitalismo, ma chiunque resista o metta in discussione il monopolio dello stato nell’uso sulla o semplicemente “usi la forza” (non importa cosa voglia dire questo ) è considerato un “sabotatore dell’economia” che prolunga la recessione economica e, perciò, deve fare i conti con il “tallone di ferro” della repressione, ovviamente con il necessario “aggiustamento” penale caso per caso.

Il regime crea e diffonde immagini di “pericolosi”, “contagiosi” e “invasivi” “agitatori” e “terroristi”, li dipinge come nemici della stabilità sociale e, principalmente, dello sviluppo economico, fornendo prontamente la soluzione dello loro incarcerazione in condizioni speciali che, in procinto di essere attuate con l’istituzione di prigioni di massima sicurezza, non sono le prime del genere. Nei campi di concentramento, nelle segrete delle stazioni di polizia, nelle sezioni per il trasporto di immigrati in via Petrou Ralli, migliaia di loro hanno vissuto a lungo in simili condizioni. Per il moderno regime dispotico, la sola presenza degli immigrati giustifica il costante stato di estromissione che con la nuova legislazione può essere ampliato in modo indefinito.

La lotta sociale dentro e fuori le prigioni è inseparabilmente connessa con le speciali condizioni in cui sono detenuti i prigionieri e le condizioni speciali di sopravvivenza cui è sottoposto chi sta all’esterno. Nello stesso modo violento con cui sono aboliti gli attuali diritti degli oppressi, per i quali si sono sparsi fiumi di sangue (a causa dei provvedimenti contro il lavoro, la sanità, l’istruzione, l’ambiente, ecc.), lo stato tenta di sopprimere sommariamente i diritti dei prigionieri conquistati con dure lotte che sono durate molti anni, ottenuti ribellandosi e subendo tortura, umiliazione e azioni disciplinari.

I detenuti per l’attività politica intrapresa e continuano a intraprendere una guerra dentro e fuori le prigioni, accanto ai prigionieri che resistono, sono il cuore dell’attacco scatenato dal governo con l’introduzione di questa legislazione, proprio perché rispondono con le parole e i fatti ai pogrom del regime contro gli oppressi. Perché hanno lottato e continuano a farlo come parte inseparabile del movimento sociale per il rovesciamento totale della moderna barbarie. L’incidente avvenuto recentemente nell’ospedale del carcere di Koridallos (benché inizialmente sia successo per ragioni differenti) ha innescato i primi movimenti contro questa legislazione particolare fra i detenuti di quasi tutte le carceri, con la pubblicizzazione di opuscoli contenenti le loro posizioni politiche e le loro richieste, con il rifiuto a rientrare in cella a mezzogiorno e lo sciopero del carrello in mensa.

La nostra solidarietà alle lotte dei prigionieri non è che un momento della lotta di classe e sociale per una società libera e senza classi.

Assemblea aperta di anarchici e antiautoritari contro le prigioni di massima sicurezza

giugno 2014

 

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