Lettera da Rebibbia agosto 2013

arte_mostra_carcere_rebibbia_giugno_2013_03Nonostante i nostri accorati appelli rivolti ai politici, nei quali esprimevamo loro il desiderio di astenersi dal compiere visite che risultano essere di puro formalismo e circostanza, eccoli riapparire alle prime luci del mattino nel N(uovo) C(omplesso) di Rebibbia.
L’incursione, anche questa volta, è stata rapida, silenziosa, annunciata con scarso preavviso e chirurgica, in quanto ha interessato esclusivamente alcune parti che il personale del carcere ritiene possano essere mostrate.
Guidati dai cerimonieri di turno, gli “ospiti” hanno scambiato pochissime battute con alcuni detenuti completamente ignari di chi fossero gli interlocutori e quali funzioni rappresentassero.
Tutte le delegazioni, e questa non è stata da meno, piombano nelle carceri come consumati marines: colpiscono veloci per poi sparire con una ritirata ancor più rapida della loro venuta, lasciando dietro di sé il vuoto pari solo al nulla che hanno portato in carcere.
La loro presenza è fugace, prediligono i corridoi periferici delle carceri e non toccano mai il cuore delle sezioni, soprattutto evitando con cura quelle che versano in condizioni estreme e disperate di sovraffollamento.
Temono che il virus dell’indignazione, quella reale, non di circostanza, li possa <finalmente!> aggredire e li costringa ad agire.
Hanno terrore che il morbo della verità gli si presenti nella sua drammatica autenticità, tanto che non possano più astenersi dal guardare in faccia la realtà, realtà, è bene ricordarlo, creta dalla loro inerzia, incapacità, inefficienza ed indifferenza.
Abbiamo associato le loro movenze ed i loro atteggiamenti prudenti al comportamento che hanno i ratti quando si apprestano  a prendere d’assalto una dispensa di cibo.
Come loro, guardinghi, si assicurano che l’ambiente sia privo di elementi di pericolo, tali quali detenuti che senza mezze frasi espongano come realmente si vive in carcere.
Sono stati osservati sgattaiolare, pardon “popolare” (scusate il neologismo), dall’aula concessa agli studenti dell’istituto, per introdursi nei locali della cooperativa che gestisce la preparazione dei cibi extra vitto carcerario; due “gioiellini” all’interno dell’istituto che vengono mostrati sempre con orgoglio a tutti gli ospiti di turno, orgoglio pari solo a quello manifestato da Cornelia, madre dei Gracchi, quando esibiva i propri figli.
La loro fugace e discreta presenza è stata subito segnalata nel reparto “d’elite” G 8 dell’istituto, dove hanno incontrato anche detenuti di “rango” che con toni pacati, ma altrettanto fermi ed inequivocabili, gli hanno comunicato, tante volte non ne fossero a conoscenza, che l’ultimo decantato Decreto Legge, il cosiddetto “svuota carceri”, è la solita, ennesima, gigantesca, inutile e solenne FREGATURA.
Si sono astenuti e ben guardati dal visitare altri reparti dove regna sovrano il sovraffollamento, il degrado. La disumanità e il dolore.
Pochi metri li separavano dal reparto G 14, dove agonizzano, realmente e non metaforicamente, detenuti comuni privati, oltre che della libertà personale, anche del sacrosanto diritto alla salute ed al rispetto della loro dignità.
Diritto che viene riconosciuto immediatamente ai “ladri di Stato” che si approfittano del loro ruolo istituzionale per saccheggiare le tasche dei cittadini, ai quali viene invece immediatamente riconosciuta la cosiddetta <incompatibilità al regime carcerario>; questo sì che è criminale!
Avrebbero potuto visitare il reparto adibito a regime di 41bis, dove sopravvivono detenuti letteralmente murati vivi; le istituzioni si preoccupano di loro esclusivamente per accertarsi che il loro stato di “morti viventi” perduri inalterato.
Avrebbero potuto affacciarsi, con un piccolo sforzo, nelle sezioni di alta sicurezza dove il clima di repressione non è da meno.
Attraverso il carcere le istituzioni rinchiudono migliaia di cittadini italiani e stranieri che devono espiare pene esigue per reati di bassissimo profili criminale,per non parlare poi di quelli che passano anni in attesa di giudizio.
Il concetto comune per tutti loro è sempre lo stesso: <galera per tutti e tutti in galera> con buona pace per tutti i cittadini che quotidianamente vengono disinformati dai mass-media, che fomentano l’isteria di massa con il solito futile ritornello della <sicurezza>, manipolando ad arte l’informazione.
Crediamo fermamente nell’inutilità di queste visite di circostanza, che mistificano una presa di coscienza del problema carcerario, i governanti conoscono perfettamente il problema, ma continuano a girarci intorno senza la concreta volontà di cambiare le cose.
Crediamo di contro che spetta a noi detenuti riappropriarci delle lotte anticarcerarie e non attendere che qualcuno, il politico di turno o chiunque altro, si faccia carico di un problema che è tutto nostro.

Un gruppo di detenuti

 

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