La giornata di lotta contro il processo nell’aula bunker del carcere delle Vallette di Torino

 imagesOggi 1° febbraio 2013 il “processone” contro il movimento No Tav ha vissuto un’altra bella giornata di lotta. Lo spostamento della sede del processo nell’aula bunker è stato rifiutato dalle e dagli “imputati” forti di un ampio sostegno.
Davanti al fortino dell’aula bunker, già prima dell’inizio dell’udienza, siamo arrivati tante/i da varie città e dalla Valle, con la determinazione di non accettare alcun isolamento.
L’ingresso in aula è iniziato con tutti i riti del controllo, delle schedature e delle limitazioni. Ad esempio, alla madre di un “imputato”, che doveva riferire all’avvocato dell’assenza del figlio malato, non è stata data la possibilità di entrare; il numero di chi può entrare in aula, esclusi coloro che sono sotto processo, è chiuso, bloccato ad 80! Immediatamente dopo vengono  tirati su gli sbarramenti e schierati decine di sbirri pronti alle cariche.
La corte entra in aula puntuale alle 9,30 decisa ad iniziare immediatamente l’udienza; più voci, sia tra gli “imputati” che tra il “pubblico” presente, le fanno notare che almeno due “imputati” si trovano ancora in dirittura d’arrivo alcuni “imputati” sono ancora bloccati fuori dall’aula perchè appunto la polizia non permette loro di entrare. Niente, per i giudici si deve iniziare subito. Le proteste in aula da parte di chi sotto processo e no, sono continuate, per esempio, nel non rispondere all’appello. Dopo circa mezz’ora, fra attese e urla alla corte che continuava ad insistere nel voler cominciare, una compagna”imputata” inizia a leggere a nome di tutte e tutti gli “imputati/e” presenti la dichiarazione seguente:

“La scelta di spostare il processo in quest’aula bunker è in sintonia con l’ondata repressiva sostenuta e legittimata dalla campagna mediatica finalizzata a demonizzare il movimento NO TAV, tentando di indebolirlo e isolarlo dalle lotte che attraversano il paese. Trasferendo la sede del processo voi state tentando di rinchiudere la lotta NO TAV nella morsa della ‘pericolosità sociale’ e delle emergenze.

Noi invece, rivendichiamo le pratiche della lotta ribadendo le ragioni che ci spingono a resistere contrastando chi vuole imporre il Tav militarizzando la Valle, con le conseguenti devastazioni umane, sociali e ambientali.
Le nostre ragioni restano vive, e la vostra scelta di trascinarci in quest’aula bunker non ci impedirà di portarle avanti.
Per questo oggi scegliamo di abbandonare tutte-i quest’aula, lasciandovi soli nel vostro bunker.
Giù le mani dalla Val Susa! Ora e sempre NO TAV! Ora e sempre resistenza!”

Il presidente urla ai carabinieri di segnalare chi “interrompe” il suo iter, ordinando di prenderne il nome. La nostra risposta non si fa attendere: a sostegno della singola lettura del comunicato parte la lettura collettiva, corale di tutte e tutti. Stupendo vedere corte, pm e sbirri, paralizzati, imbarazzati e muti. A tutti loro viene urlato che la lettura non è una scelta singola, “non c’è nessuno da segnalare”. Fallisce lo stesso loro tentativo di portarsi via la compagna che ha dato inizio alla lettura. Poi tra cori e slogan si abbandona effettivamente l’aula tra le facce attonite e smarrite dei vari accusatori e della loro truppa. L’uscita non è facile.
Ci bloccano, chiudendo i cancelli, vogliono, identificarci, soprattutto vogliono aver il nome della compagna. Chiudono la cancellata d’uscita e schierano i manganellatori. Il presidio sul piazzale che reclama l’apertura degli sbarramenti viene caricato, cercano di allontanarci, ma non ci riescono. Il gruppo di compagni/e entrato in aula viene anch’esso caricato, perché rifiuta l’identificazione. Volano colpi di manganello, gomitate e calci. Il muso a muso va avanti per circa una mezz’ora, finché – grazie all’unità di tutte/i i presenti – sono costretti a lasciare il passo, ad aprire la cancellata.
Il presidio si ricompatta; si sposta, seppur con un po’ di confusione, sul lato del carcere da dove è possibile vedere, sentire ed essere visti ed uditi da chi rinchiuso nelle celle. Da dentro rispondono ai nostri saluti e alle nostre battiture; alcuni prigionieri vedono il campo dove siamo rincorsi ma continuiamo a battagliare  per avvicinarci. La sferzata di forza è  reciproca; senz’altro di buon auspicio anche per il futuro.
Nei fatti anche oggi il processo alla lotta è stato respinto e ribaltato in momento di liberazione dai riti opprimenti della repressione e allo stesso tempo in un momento di solidarietà a chi resiste in carcere.

Prossima udienza, sempre all’aula bunker, alle 9,30 14 febbraio 2013. Dovrebbe avere inizio formale il processo con la costituzione delle parti civili. Nella stessa mattinata è in preparazione per quel giorno un presidio informativo in città, a Torino.
Alcune/e di noi (“imputati/e) si recheranno comunque in aula.

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