27 marzo 2013, tribunale di L’Aquila:
tutti assolti!
Solo la lotta paga!
Il 27 marzo si è svolta, presso il tribunale della Corte D’Appello di L’Aquila, l’udienza di secondo grado del processo agli 11 compagni condannati a 2 anni di carcere ciascuno per aver urlato lo slogan “la fabbrica ci uccide, lo stato ci imprigiona, che cazzo ce ne frega di biagi e di d’antona” durante il corteo del 3 giugno 2007 che ha sfilato nel capoluogo abruzzese contro carcere, 41 bis e differenziazione, in solidarietà ai rivoluzionari prigionieri e a tutti i detenuti in lotta.
Tutti e 11 i compagni imputati sono stati assolti perché il fatto non sussiste!
Fuori dal tribunale
All’udienza erano presenti circa 25 compagni solidali provenienti da diverse città, tra cui Padova, Bologna, Milano, Napoli, Foggia e L’Aquila stessa. I compagni, durante la mattina, hanno diffuso un volantino scritto da alcuni imputati presso la facoltà di Lettere e Filosofia, che ha recentemente riaperto nell’edificio dell’ex ospedale.
Arrivati al tribunale, una struttura completamente nuova, un ingente numero di forze dell’ordine, digos e militari presidiavano sia dentro che fuori, spiacevole presenza che purtroppo, tuttora predomina in gran parte della città terremotata. È stato attaccato uno striscione fuori dal tribunale, davanti alla stazione, che recitava “contro carcere, 41 bis e isolamento, uniti nella lotta”.
Dentro al tribunale
L’udienza è durata circa un’ora, durante la quale hanno parlato il Procuratore Generale e gli avvocati difensori. Il Pg si è attenuto a ribadire le motivazioni riportate sulla sentenza di primo grado, al contrario gli avvocato hanno fatto un ottimo lavoro di squadra, smontando l’intero impianto accusatorio.
In particolare, gli avvocati hanno scardinato il metodo con cui, durante il corteo, sarebbero avvenute le identificazioni dei compagni, imputati di aver gridato uno slogan e identificati tramite fotografie statiche (… senza alcun effetto sonoro!). Fotografie scattate da agenti di polizia di L’Aquila, i quali non conoscevano i manifestanti presenti, e successivamente inviate per l’identificazione alle varie digos delle altre città, che però non erano presenti durante la giornata di mobilitazione e non sono mai state chiamate in aula a testimoniare. Queste identificazioni sono state supportate dalla sola testimonianza del capo digos di L’Aquila, la Terenzi, e di un altro poliziotto.
Uno degli avvocati ha spiegato la reale valenza dello slogan, sottolineando come questo sia stato volutamente tagliato dalla procura, la quale ne riporta solo la seconda parte (che cazzo ce ne frega di biagi e di d’antona), per snaturare e stravolgere completamente il suo significato, ovvero che oggi in Italia esistono morti di serie A e morti di serie B. Davanti alle centinaia di morti bianche e alle numerose morti che avvengono nelle galere, a cui i giornali della disinformazione borghese non danno alcun rilievo né spazio, vengono invece esaltati, ricordati e trasformati in eroi coloro che muoiono al servizio degli interessi del capitale. Alcuni avvocati hanno anche sottolineato come intorno alle riforme del mercato del lavoro ci sono stati problemi e malcontenti diffusi, per tale ragione è anche lecito poter esprimere un’opinione critica in merito all’operato dei giuslavoristi.
I 4 difensori hanno anche unitariamente contestato l’uso dello stesso articolo 414 c.p., facendo riferimento anche a sentenze della Corte di Cassazione del 1970 e del 1974 che cercano di chiarire la sua applicazione. L’apologia di reato, ovvero la possibilità di istigare a delinquere o a commettere atti criminali, deve essere concreta e non astratta o presunta. Istigazione, che secondo il giudice Gargarella, come riporta nella sentenza di primo grado, sarebbe stata rivolta alla militante rivoluzionaria Nadia Desdemona Lioce, detenuta in regime di 41 bis nel carcere di L’Aquila, e a 14 compagni arrestati nel febbraio dello stesso anno nell’inchiesta dell’Operazione “Tramonto” e detenuti, all’epoca, in diverse carceri d’Italia in regime di totale isolamento. Tesi che ha dell’assurdo, sia perché è difficile istigare a delinquere un detenuto sottoposto al carcere duro, sia perché il messaggio, secondo la “saggezza” del giudice, sarebbe dovuto arrivare tramite i volti dei compagni raffigurati in uno striscione presente al corteo … come ha detto un avvocato in aula, la tesi della “seduta spiritica”.
Il Pg, ha controbattuto in maniera del tutto superficiale, imprecisa e di rito. Ha spostato il piano del discorso, sostenendo che la pericolosità materiale d’istigazione a commettere atti criminosi c’è, dato che oggi lo stato non ha ancora chiuso la partita con il “terrorismo”, e riportando le sue testuali parole “non so fornire al momento esempi, ma ne sono certo perché la tv spesso riporta notizie di cellule ancora attive” ….
E, come già avvenuto per la sentenza di primo grado, il Pg ha sostenuto che la mancata presenza in aula degli imputati, per prendere le distanze da tale slogan, fosse motivo di fondata colpevolezza. Colpevoli di una pratica largamente diffusa da sempre, che è quella di fare propaganda, tramite gli slogan, durante le manifestazioni.
Alcune considerazioni
Pensiamo che l’assoluzione degli 11 compagni sia principalmente il frutto di aver saputo trasformare questo processo, che ha chiaramente attaccato una pratica di lotta concreta come quella della solidarietà di classe e della lotta anticarceraria, in un processo di lotta, avendo la capacità di rilanciarla con più forza di prima.
Gli insegnamenti positivi che nel nostro piccolo possiamo trarre, sono prima di tutto l’importanza che ha avuto rispondere sin da subito rilanciando l’unità tra tutti gli imputati, la dove invece ci volevano proprio dividere, spezzando il processo in due tronconi. Un’unità che si è allargata a tutti i compagni che hanno contribuito alla costruzione del lungo percorso che ha portato alla mobilitazione del giugno 2007, maturando l’importanza e la necessità di tornare proprio nella città di L’Aquila, con un corteo e un presidio sotto al carcere, il 18 giugno 2011, come risposta alle 22 condanne in primo grado e per riprendere la lotta contro il 41 bis. Non aver fatto passare sotto silenzio le condanne in primo grado, ritornando nella città abruzzese, profondamente trasformata dall’evento naturale che l’ha distrutta nell’aprile del 2009 e che l’ha resa un “laboratorio di sperimentazione scientifica” delle tecniche e pratiche di controllo sociale e militarizzazione del territorio, è stato altrettanto fondamentale per rompere la coltre di silenzio e la criminalizzazione della solidarietà e dei compagni condannati in cui volevano far passare il tutto.
La lotta deve continuare, in quanto ricordiamo che ci sono ancora 11 compagni in attesa di udienza d’appello per il secondo filone processuale, nel quale sono stati condannati a pene di circa 8 mesi e ad una sanzione pecuniaria di 1000 euro ciascuno. A questo, si vanno ad aggiungere i rinvii a giudizio per 5 compagni, due di Padova e tre di Roma, accusati di oltraggio a pubblico ufficiale durante il presidio sotto al carcere di L’Aquila il 18 giugno 2011. Presidio, che va ricordato, è stato in tutte le maniere osteggiato da parte delle forze di polizia, che non hanno voluto far avvicinare i manifestanti al penitenziario. Tutto questo, dopo che la questura aveva provato a ostacolare anche lo svolgimento del corteo della mattina stessa, proponendo di sfilare all’interno di un parco pubblico! Tutto ciò dimostra anche quanto abbia dato fastidio la presenza dei compagni nella città di L’Aquila, sia perché ha tenuto alta la bandiera della solidarietà di classe verso i rivoluzionari prigionieri, sia perché ha provato a fare emergere, nella città stessa, le contraddizioni legate alla gestione che il governo ha dato del post terremoto. Lo stato ha la necessità di reprimere, e di mettere a tacere, tutti quelli che si oppongono con la lotta allo stato attuale di cose e che evidenziano le numerose contraddizioni che la crisi economica, politica e sociale produce all’interno della società.
Ringraziamo tutti i compagni e i collettivi che in questi 6 lunghi anni hanno sostenuto e supportato le mobilitazioni di solidarietà, hanno contribuito a sviluppare iniziative di controinformazione e benefit per gli imputati e hanno rilanciato la lotta contro il 41 bis, la differenziazione e il carcere, percorso che si è trasformato in una necessità concreta che ha dato stimolo al formarsi dell’Assemblea di lotta “Uniti contro la repressione”. Assemblea che raccoglie diverse realtà e che sta promuovendo la mobilitazione sotto al carcere di Parma del 25 maggio 2013. Carcere in cui è presente una sezione a 41 bis e in cui è detenuto un militante rivoluzionario.
La notizia positiva di questa assoluzione deve essere un’ulteriore stimolo propositivo nel continuare la lotta!
La resistenza continua!
Alcuni imputati