8.30 di giovedì mattina: Bahar Kimyongur arriva a Milano dove deve partecipare a una conferenza internazionale sulla Siria, i poliziotti lo fermano appena sceso dall’areo.
Successivamente una volta interrogato dalle autorità giudiziarie, Kimyoungür verrà incarcerato nel carcere di Bergamo.
Questa nuova incarcerazione è evidentemente legata a un mandato d’arresto emanato contro la sua persona dalle autorità di Ankara—continuamente alla ricerca della sua estradizione. Ricordiamoci che questo mandato aveva già portato, lo scorso giugno, l’arresto a Cordoba di un cittadino belga (rimesso poi in libertà da un giudice spagnolo su cauzione, in attesa del pronunciamento dell’Audiencia Nacional) …
Da mesi, tutti lo sanno, Bahar Kimyongür non risparmia nulla del suo tempo, le sue energie per denunciare il ruolo sempre più importante giocato dallo stato turco nel terribile conflitto che sta devastando la Siria. Una guerra ignobile e atroce in cui il governo di Erdogan sta intervenendo direttamente. Ankara sta garantendo piena agibilità ai gruppi jihadisti al fine di organizzare—a partire dal territorio turco—l’approvvigionamento di armi ai gruppi di Al Qaeda e altri gruppi settari tafkiri finanziati dall’Arabia Saudita e il Qatar; Ankara delega agli islamisti più integralisti il compito di intimidire con la violenza la popolazione della regione turca del Hatay, una popolazione che si oppone alle posizioni bellicistiche dell’AKP.
Tutte queste rivelazioni sono ben documentate da Kimyongür—e confermate pienamente dai recenti sviluppi—che la Turchia non può tollerare.
Ancora una volta: è necessario mobilitarsi con ogni mezzo per ottenere la liberazione del nostro compagno.
Ancora una volta: dobbiamo costringere il Belgio a difendere in modo conseguente uno dei suoi cittadini.
In un piano europeo, il Belgio deve fare annullare (con qualsiasi mezzo di legge) un mandato d’arresto in cui le “accuse” sono già state dichiarate infondate—sia dalla la giustizia olandese che da quella belga (attraverso il giudizio della camera d’estradizione dell’Aia nel 2006; oltre che dalla sentenza emessa dalla corte d’appello d’Anversa nel 2008 e dalla corte d’appello di Bruxelles nel 2009
Jean Flinker,
Membro del comitato per la libertà di espressione e associazione.