Solidarietà ai detenuti in lotta!
Il 15 agosto Daoudi Abdelaziz, marocchino di 21 anni rinchiuso nel carcere Due Palazzi di Padova, viene ritrovato in fin di vita all’interno di una cella d’isolamento. Morirà poche ore dopo in ospedale. Secondo i media, si è impiccato con dei lacci da scarpe dopo una forte lite con una guardia. Non appena è sopraggiunta la notizia della morte del ragazzo è scoppiata la rivolta: i prigionieri hanno espresso la loro rabbia, rifiutandosi tutti quanti di entrare nelle celle dopo l’ora d’aria, oltre che attraverso delle battiture e l’incendio di lenzuola in segno di protesta per chiedere verità sulla morte di Abdelaziz. Proteste continuate nei giorni seguenti.
Quella del Due Palazzi è già da tempo una situazione limite, in cui il sovraffollamento caratterizza la quotidianità dei detenuti e fa emergere quella che è la condizione più generale dei penitenziari italiani. Nella Casa Circondariale di Padova sono attualmente rinchiusi 245 detenuti a fronte di una capienza di circa 90 posti letto e nel penale vi sono 886 reclusi su 350 posti. All’occorrenza vengono usate anche le celle destinate all’isolamento, situate in una palazzina non a norma di legge, perché non è mai stata ristrutturata.
Nel periodo estivo il malessere si acutizza ed esplode con maggiore intensità: caldo torrido, prigionieri stipati in celle minuscole, condizioni igienico-sanitarie carenti, impossibilità di svolgere l’ora d’aria e via dicendo sono tutti elementi che rendono la permanenza in carcere infernale, tanto da sfociare in episodi di autolesionismo e in “suicidi”, che, dato il contesto, sono a tutti gli effetti delle vere e proprie morti da carcere!
Una buona parte della popolazione detenuta a livello nazionale è costituita da immigrati: a Padova sono circa l’80% e sono in aumento i giovanissimi che, non trovando occupazione, vengono arrestati per reati legati alla microcriminalità. Si tratta di persone che abbandonano il loro paese d’origine per fuggire da situazioni di povertà e di guerra. Quella stessa guerra fatta di aggressioni militari promosse dai paesi occidentali, Italia compresa, per rubare il petrolio, il gas naturale e altre risorse energetiche e per garantirsi il controllo politico-economico. Guerra che ha come effetto collaterale l’immigrazione di massa di migliaia di persone, come dimostrano i continui sbarchi sulle nostre coste di profughi provenienti anche da Siria, Egitto, Palestina, Libia ecc. Inoltre, lasciando la povertà delle loro terre, dovuta allo sfruttamento da parte dei paesi imperialisti, in Italia entrano nel serbatoio di manodopera a basso costo e alta ricattabilità che i padroni possono utilizzare a seconda dell’andamento della produzione.
In questa fase di grave crisi economica e di tendenza alla guerra, aumenta anche la repressione, e il carcere diviene fondamentale per i padroni, in quanto consente loro di contenere una fetta di proletariato che si trova esclusa dal mercato del lavoro e che, per mantenersi, ricorre all’utilizzo di rimedi fuori dalla “legalità” imposta. Il carcere assolve anche la funzione di monito nei confronti di chiunque, stanco di essere sfruttato, osi alzare la testa e intraprendere la via della lotta.
La galera è lo specchio della società, in cui tutti i problemi e le divisioni che la caratterizzano si riflettono aggravandosi. Vige la regola del premio-punizione, secondo cui chi si piega alle norme umilianti imposte dal sistema carcerario riceve dei benefici, mentre chi non le accetta e si mette a lottare, subisce trattamenti punitivi, come trasferimenti, applicazione dell’articolo 14 bis, che aggrava le condizioni di detenzione, fino ad arrivare all’isolamento dal resto del corpo dei prigionieri.
Di fronte al continuo tentativo di divisione e frammentazione messo in atto dai padroni, la risposta deve essere l’unità della lotta, dentro e fuori dalle prigioni. La rivolta dei detenuti del Due Palazzi dimostra come sia possibile ribellarsi uniti contro un sistema carcerario, che con il procedere della crisi, impone sempre peggiori soprusi e vessazioni. Allo stesso modo, è necessario collegare la lotta dentro con quella oltre le mura: per la difesa del posto di lavoro, per la salvaguardia della scuola pubblica, dell’università e della sanità, contro la devastazione del territorio e contro le guerre neocoloniali. Le condizioni di oppressione sono le stesse sia per i proletari italiani che per quelli immigrati, siamo tutti dalla stessa parte della barricata.
La migliore solidarietà di classe che si può portare ai detenuti in rivolta è lottare uniti, dentro e fuori, e capire che il nemico da sconfiggere è il medesimo, ovvero il capitalismo, sistema basato sulla guerra e sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Mobilitiamoci tutti dal 10 al 30 settembre in solidarietà alla lotta dei detenuti lanciata dal “coordinamento dei detenuti”!
Solo la lotta paga!
Compagne/i di Padova
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